Alcune esperienze raccolte quando esercitavo la mia professione come rebirther:
Vincere la paura
Lavorando con tecniche energetiche che, come il Rebirthing, operano sul corpo-mente, è facile leggere nei segnali sensoriali emergenti durante le sedute, quelle emozioni rifiutate e represse che ogni individuo si porta dentro. La filosofia del nostro approccio prevede infatti di dare grande attenzione- serenamente e senza giudizio – al flusso di sensazioni fisiche che scaturiscono dal breathwork del Rebirthing. Il linguaggio del corpo, sollecitato dalla respirazione circolare, già nelle prime sedute comincia a dare informazione su emozioni non elaborate che alla fisicità sono sempre strettamente connesse. Non si tratta di notizie per la mente curiosa, ma di notizie sensoriali , intuizioni appena lampeggianti, parole di un linguaggio subconscio tutto da apprendere. Per chi ‘respira’ il primo atto d’integrazione del blocco irrisolto è proprio quello che si attua permettendosi di ascoltare/accettare il corpo anche senza comprenderne il portato emozionale. Finchè ad un certo momento il vecchio schema energetico si scioglie e si verifica una sorta di flash di comprensione accompagnato da una forte energizzazione del corpo-mente : per l’intero organismo un recupero di vitalità fino ad allora trattenuta capace di modificare spontaneamente il modo di reagire alla vita e di attrarre inconsciamente situazioni disarmoniche.
A questo proposito un caso emblematico tra i miei interlocutori in ambito Rebirthing è stato quello di Mario A., un trentenne sano e normale ma pesantemente limitato dalla paura in ogni aspetto dell’esistenza.
Cos’era successo? Vent’anni di lotte contro gli eccessi d’ansia della madre per la sua incolumità fisica erano stati ad un certo punto sconfitti da un evento tragico: la morte di un carissimo coetaneo , modello di libertà e vitalità fiduciosa. Per quanto in contrasto con la sua naturale esuberanza, da quel momento le preoccupazioni della madre erano state da Mario inconsciamente assunte a norma di vita, una vita evidentemente così pericolosa e imprevedibile da poter cancellare in una notte il sorriso della giovinezza , come era accaduto al suo migliore amico.
Pertanto negli anni successivi molte scelte di Mario erano state dominate dalla paura della perdita, del cambiamento, del male incombente in una quantità di possibili forme.
Quando è approdato al lavoro col respiro Mario non riusciva quasi a distendersi e rilassarsi per la seduta, perché le sensazioni più elementari di vita pulsante nel corpo – percepite senza un’adeguato controllo mentale o senza il soccorso del sonno – gli riuscivano inquietanti.
L’inconscia equazione vita= rischio mortale bloccava un’enorme parte della sua esistenza, nel corpo come nel suo mondo psichico. Sentirsi semplicemente e magicamente vivo, come accade quando si cominciano ad applicare le tecniche del Rebirthing, era per lui un orizzonte lontano. E pericoloso..
Durante le prime sedute l’esperienza di un respiro solo un poco più profondo del solito, associato ad una nuova consapevolezza delle sua fisicità, era capace di provocargli vertigine , accelerazione del battito cardiaco e tanta tanta ansia.. Questi disagi erano una vecchia conoscenza, anche se non di assidua frequentazione: potevano capitargli all’improvviso per una ragione o per l’altra e dunque la sua esistenza era una fuga continua da situazioni potenzialmente ansiogene. Appena accettò di lasciarle emergere e sentirne gli effetti nel corpo, il respiro circolare, che le aveva evidenziate alla sua attenzione, cominciò contestualmente a creare lo strumento di disattivazione delle sensazioni corporee legate all’ansia: uno stato nuovo di elevata energia psico fisica che consentiva di entrare nell’emozione rifiutata con una forza fino ad allora inconcepibile.
I primi passi di libertà furono mossi proprio nel senso della riconciliazione col proprio respiro – sempre più libero – scoprendo contestualmente sul lettino del Rebirthing la bellezza del sentirsi fisicamente vibrante e pervaso da una gioia apparentemente immotivata, la pura gioia di ‘essere qui, vivo in questo corpo, in questo momento, con tutto quello che c’è nella mia esistenza…’
Più avanti si ripresentò qualche volta la paura cellulare del vecchio progammamentale, ma sempre più rapidamente disattivabile. Come? Accettandola amorevolmente, direi quasi con un’ amorevole pazienza verso se stesso e con la nuova fiducia nei potenziali energetici che il respiro andava rivelando.
In tal modo Mario scoprì di potersi staccare dal problema – qualunque fosse la causa originaria – accogliendolo nel corpo, sentendolo ma immergendone la consapevolezza nella nuova e vibrante coscienza olistica.
Il problema non era immediatamente risolto ma lui riusciva a vederlo da un altro spazio d’osservazione, poteva comprenderne il senso globale recuperare la sua vitalità bloccata e lasciar andare il vecchio modello di pensiero.. talora perfino sostenuto da lampi di felicissima connessione con la sua parte misteriosa e saggia.
Pulsione di morte ed istinto di sopravvivenza
Il pensiero comune ritiene che l’istinto di sopravvivenza sia connaturato con l’essere umano mentre al contrario la pulsione di morte riguardi una minoranza d’individui con problematiche personali alquanto rilevanti. Chi lavora su se stesso e sugli altri col Rebirthing – disciplina spirituale ma anche bioenergetica- sa che la pulsione di morte è una complessa tensione di sfiducia/ timore/rifiuto verso la vita, presente nell’uomo non ancora ‘realizzato’ e quindi genericamente diffusa. In tal senso potremmo anzi parlare di una doppia polarità basilare nell’animo umano, che s’interfaccia in modo chiaramente oppositivo, ma anche con sottili implicazioni e ramificazioni integrate l’una nell’altra non sempre facili da identificare nel processo di autoconoscenza.
Insieme a trauma di nascita, disapprovazione parentale, eventi negativi specifici e karma da vite precedenti, la filosofia del Rebirthing include la pulsione di morte tra i 5 GRANDI, ovvero tra le 5 grandi cause del dolore umano. Il Rebirther la ravvisa sia nel colloquio che precede la sessione di respiro, sia durante la medesima, profonda meditazione che sempre lascia emergere lievi segnali del corpo connotati in questo senso, qualora qualche gradazione di pulsione di morte appartenga alla personalità in questione. Si tratta talora di contratture, suoni, posizioni o espressioni del volto che mettono in scena la memoria inconscia del bambino disperato : un ancestrale insieme di emozioni che scaturiscono nel primo tempo della vita per una mancanza ( o creduta tale) di calore , accoglienza, nutrimento, ascolto, amore etc. che fa percepire insopportabile la propria frustrazione e muove alla fine un desiderio imperioso di autosoppressione.
Certe radici di pulsione di morte, peraltro, si ravvisano perfino in ambito prenatale quando per esempio, come figlio atteso, il feto percepisce in qualche suo modo molto sensoriale di essere fortemente rifiutato; oppure in una nascita traumatica, a causa della quale può instaurarsi un imprinting permanente in merito alla ‘difficoltà di essere vivi’, al ‘non ce la faccio’ perché ‘respirare è difficile‘, ‘vivere è un rischio mortale’ e ‘io sono solo’. .
Tali assunzioni, estremamente comuni, mantengono effetti a tempo indeterminato, lasciando talora permanere nell’adulto un programma inconscio limitante per quanto riguarda la capacità di osare, l’approccio umorale alla vita, l’abilità di investire in fiducia, positività e cambiamento.
Che siano condizionate dal tipo di nascita o da successivi eventi, fatto è che una quantità di persone ha con l’energia vitale rapporti contraddittori (cioè la desidera e la paventa), sostanzialmente finalizzati ad arginare il timore della destabilizzazione, al vertice del quale timore spesso si colloca la paura di riaprire il cuore dopo qualche grande shock emozionale.
La pulsione di morte secondo il Rebirthing nasce appunto dallo stesso afflato alla vita stroncato da risposte insoddisfacenti, ovvero come reazione a qualche forma di amore, speranza , fiducia che sia stata delusa e non efficacemente superata. Ritirarsi nella scelta di non vivere qualche aspetto dell’esistenza o viverlo in modo autodistruttivo è la soluzione di riserva della ferita nel cuore, per cui capita di scegliere – più o meno inconsciamente – di chiudere certi aspetti vitali della nostra sfera emotiva e d’azione piuttosto che correre il rischio di ulteriore delusione cimentandosi ancora con le sfide della vita. Tale chiusura produce una serie di effetti nel corpo e nella mente che tendono alla cristallizzazione interiore , il che ci rende attivi collaboratori di ogni eventuale processo degenerativo sui vari piani d’esistenza.
Va considerato però che quando scopriamo in noi una sorta di ‘pendolo’ tra istinto di sopravvivenza e pulsione di morte , nessuna delle due polarità rappresenta la soluzione ultima e migliore. Di sicuro entrambe queste energie vanno esplorate liberamente perché costituiscono fonte di apprendimento come tutto ciò che la natura ci fornisce, ma ci sono poi modalità alternative per vivere la propria umanità, capaci di comprendere e sintetizzare questi due poli nell’ambito di leggi superiori.
Infatti l’istinto di sopravvivenza tout court è prezioso supporto naturale fino ad un certo livello evolutivo, ma riteniamo che l’uomo sia chiamato a valorizzare il dono magico della vita non solo attraverso la pulsione istintuale utile alla conservazione della specie, ma anche poi attraverso una superiore adesione al mistero della vita , quella riconnessione della personalità frontale alla sua parte più profonda e saggia che apre alla sperimentazione di ulteriori realtà, connesse al risveglio dei chakra e quant’altro..
Su questo cammino il REBIRTHING, tecnica e arte del respiro consapevole, può essere uno strumento importante perché fa sperimentare l’energia che sta a monte di ogni conflitto di opposti e quindi consente una visione globale, dal ‘pernio del pendolo’ invece che da uno solo dei due poli.